
E’ un mito da sfatare che le brand identity possano rendere di successo un aerolinea. L’ultimo caso e’ quello di Flyr, ma non funziona neanche in altri casi. La realtà e’ che solo un attento studio di mercato, non di immagine, ma quello sui reali volumi che il segmento può proporre, sia l’unica chiave di successo. Invece di buttare risorse in progetti che svaniscono nel giro di 12/18 mesi, massimo 3 anni.

Prendiamo il caso dell’ultima aerolinea volata via velocemente negli ultimi giorni. Nel 2021, quando Flyr e’ sbarcata, e’ iniziata la proliferazione di questa campagna per far conoscere il vettore. Poi e’ stato rivelato il business case e come si sarebbe evoluto tra il 2021 e il 2024. Una crescita rapida, abbastanza modulare prima incentrata nell’aeroporto di Oslo – Gardemoen, noto ed i suoi prezzi non proprio economico. Poi su altri nodi principali in Norvegia per il vettore low cost, il quale era tra l’altro un ibrido. Cioè non era propriamente punto a punto, perché garantiva connessioni tra la sua rete nazionale e quella internazionale mista leisure per la maggior parte, ma con voli verso le capitali. I costi sono il modo di questa venture. Se i biglietti sono alti, forse c’è’ il modo di fare qualche soldo. Ma in realtà vari altri fattori hanno fatto diventare più onerosa la cosa e renderla fuori controllo. Quali? Costi del carburante arrivati velocemente a valori stratosferici e fuori da ogni previsione a medio termine e le varie incertezze del mercato come : permanenza delle varianti del covid-19 e le limitazioni imposte dai vari paesi, la guerra in Ucraina e la recessione / inflazione galoppante in Europa. Macigni insomma! Senza capitalizzazioni adeguate pregasi astenersi dal farlo!

Aggiungiamoci per Flyr la concorrenza. Infatti sul mercato norvegese interno e verso l’estero operano vari soggetti, noti per una penetrazione importante nel mercato sia di volume, che temporale. Chi sono?

SAS da sempre L’aerolinea della Scandinavia, una legacy che però vende anche solo andata. In Norvegia da decenni in particolare dopo aver rilevato anche Brathenns SAFE. Poi nominata SAS Norway. Poi c’è’ Wideroe che collega ogni angolo del paese e da sempre. Oltre a spingersi fuori dalla Norvegia con i suoi rapidi DHC-8/Q400 e E190 E-2. Poi c’è’ Norwegian, che nel momento nel quale Flyr e’ stata pensata non era in condizioni ottimali, ma era stata rilevata dai lessor e la nuova gestione l’aveva trasformata ritornando al low cost corto raggio in Norvegia con qualche continuità territoriale dove c’è’ traffico sicuro e poi ristrutturata a dovere operava sugli stessi mercati esteri di Flyr. Insomma da debole competitor e’ stata trasformata in una norma a orologeria per Flyr. Norwegian si e’ trasformata in qualcosa di forte che ha tolto anche l’unica speranza di occupare una fetta di mercato, quella della Norvegia, molto piccola in realtà. Certamente la nazione nordica e’ ricca, dove la propensione alla spesa c’è’, dove il trasporto aereo e’ l’unico per annullare le difficoltà delle distanze e dell’orografia. Ma rimane sempre un mercato di pochi milioni di abitanti potenziali, dove si e’ formato un problema comune ad altri negli ultimi periodi, l’eccesso di capacità che spinge alcuni ad abbassare i prezzi per sopravvivere. I problemi aggiuntivi globali sopracitati hanno visto una emorragia di denaro dalla capitalizzazione e scorte, le azioni sono crollate alla borsa di Oslo , molto lontana da noi, ma non troppo. Insomma nessuno le ha più dato fiducia, tanto che nelle scorse settimane per raccogliere una quarantina scarsa di milioni di €, e’ riuscita a trovarne la metà, insufficienti per stare in piedi nei prossimi mesi con un operativo estivo fortemente ridotto rispetto al 2022, nonostante l’advance booking andato male e infinitesimo rispetto a quello previsto dal piano industriale per il 2023. Insomma un tentativo maldestro per sopravvivere e la chiusura e’ stata una condizione solamente certa.

Ma Flyr non e’ stata la sola, forse ci ricordiamo il rapido sbarco di Wizz Air in Norvegia nell’ante Covid -19 senza problemi generali. Però anche qui ha fatto i conti in un mercato piccolo e attento a quello che compra , pure molto tradizionalista. Il mercato norvegese, ricco ma stretto, usa ancora i voli charter per andare al caldo , a dispetto ad esempio dell’Italia dove i voli vacanza sono praticamente scomparsi. Qualche problema sindacale e un modello che non e’ piaciuto, il tutto ha decretato la sua fine velocemente. Per Wizz Air e’ stata solo la chiusura di un mercato, ma ne ha altri. Per Flyr era l’unico, quindi il classico business che se “ha un solo piede del tavolo”, nella regola generale e’ perdente. La stessa Wizz lo sta sperimentando in Italia con la chiusura delle basi di Palermo prima , quella di Bari dopo, ma pure su continue rivoluzioni, “taglia e cuci” nel network delle altre basi. Oppure nel Regno Unito dove il suo prodotto a bassissimo costo iniziale del solo volo si scontra con gli altissimi prezzi dei bagagli. Chi compra a questo punto, preferisce a easyjet, Jet2.com e TUI UK con i loro pacchetti Holidays tutto compreso e senza paturnie di impazzire nel fare quei conti che poi rivelano che l’offerta iniziale non e’ conveniente. Quindi la preferenza va a altri e l’unico risultato è load factor irrisori su aerei come l’A321neo da 239 posti, conveniente per sedile occupato se e’ pieno , tremendamente perdente se viaggia mezzo vuoto.

Altro esempio quello di FlyBe , che come Flyr, questa volta in Regno Unito, voleva alla stessa stregua occupare dei mercati già presidiati e quindi difficili da recuperare in particolare dopo che era svanita la prima FlyBe. Anche qui una serie di errori pazzeschi commessi dove in particolare volendo utilizzare il DHC-8/Q400, aereo veloce, ma unisce purtroppo una rapidità nell’esaurire le riserve dei vettori, perché e’ costoso da gestire, in particolare nelle parti di ricambio. Insomma poi il caro carburante e altre problematiche come recessione e inflazione in UK, gli aerei viaggiavano con Basse tariffe e load difficili da permettere di stare in piedi.

Insomma, quale sarebbe il valore aggiunto della brand identity , proprio in un settore dove tutto deve essere gestito oculatamente ed evitando di fare follie e cercando di avere scorte finanziarie per problematiche generali, ma sopratutto in primis evitando di imbarcarsi in progetti rivoluzionari che nulla hanno. Oppure in situazioni dove il fiasco e’ praticamente annunciato. Solo grano salis in testa serve per non fare flop. La brand identity cosa serve? Niente!